Il Polesine ha una tradizione che si impasta con la sua storia e che affonda le sue radici nelle corti rurali, lontane nel tempo, eppure molto presenti nel quotidiano. Così sono la tradizione della macellazione del maiale e l’arte di scegliere la carne e ricavarne gustosi salumi.
Nel periodo invernale, in prossimità delle feste natalizie, nelle case contadine si uccideva il maiale, la cui carne, un tempo, era parsimoniosamente consumata dalle famiglie del Polesine durante tutto l’arco dell’anno. E’ quindi naturale che il maiale occupi il primo posto tra le carni più usate nella cucina tipica polesana.
Ogni polesano sa bene che del maiale non si butta(va) via niente e che oltre alla carne per salami, pancette, prosciutti e lardo, del maiale si usavano anche gli ossi, i budelli e le setole.
Il PROSCIUTTO, veniva messo da parte se si voleva procedere alla stagionatura altrimenti la sua carne veniva unita al resto dell’impasto dei salumi.
Un’altra parte che veniva separata dalla carne da macellare erano le BRACIOLE che venivano disossate e immerse nello strutto entro recipienti di legno per essere consumate durante l’inverno. Stessa sorte era riservata alle oche, alle anatre e agli stessi salami che si volevano mantenere più morbidi seppur stagionati.
Le SETOLE venivano raccolte e utilizzate per fare spazzole.
Il SANGUE veniva raccolto per fare il sanguinaccio.
Lo STOMACO (la trippa) veniva usato per minestre in brodo di ossi.
I BUDELLI, lavati, venivano usati per insaccare i salumi.
Gli OSSI venivano conservati dentro cassette di legno, disposti a strati alternati al sale, che ha la proprietà di conservante. Si usavano per una trentina di giorni e si usavano per fare il brodo. Una parte gli ossi, inoltre, venivano macinati e sciolti per confezionare il sapone.
Storicamente, a gennaio le macellazioni di maiale erano ormai concluse e si cominciavano ad assaggiare i primi insaccati “di carne buona”, tra questi quella bondola polesana che trionfava nelle osterie rodigine.
La BONDOLA polesana è la vescica del maiale e consente di creare il salame polesano per eccellenza. Dai 3 agli 8 chili, cotta in acqua……………Braciole, salami da taglio (con aglio e vino), cotechini, lardo, ciccioli (pezzetti di carne residua dalla fusione del grasso), strutto e pancetta, la bondola polesana (diversa dalla salama al sugo ferrarese perché più morbida e meno piccante), coda, piedini e orecchie sono vere e proprie leccornie di questa cucina. Anche il sangue e le ossa vengono usati.
Storicamente, a gennaio le macellazioni di maiale erano ormai concluse. Indugiava solo qualche ritardatario: Da San Tomaso, ciapa el porco par el naso.
A gennaio si cominciavano ad assaggiare i primi insaccati “di carne buona”, tra questi quella bondola polesana che trionfava nelle osterie rodigine: “Su questo argomento bisognerebbe scrivere tutta una storia –dice il vicentino Giovanni Capnist-, di antiche origini, strettamente legata alla vita stessa del Polesine. In una pentola ampia, far bollire l’acqua salata, aggiungendo 2 foglie di lauro, lo spicchio d’aglio, i due gambi di sedano. Immergere diverse volte, e a tempi inizialmente brevi, poi più lunghi.
La bondola polesana. Fino a farla riscaldare lentamente. Dopo 10 minuti di questo trattamento, immergerla definitivamente e cuocerla, a seconda della grossezza della bondola, per un’ora mezza, due. Servire bollente con patate lesse, fagioli, lessi, conditi con le cotiche di maiale sciolte” (G. Capnist, La cucina polesana, 1985).