Tra i ricordi del Ristorante Al Cavaliere di Rovigo, si trovano due racconti dedicati alle galline e alle uova.
Il pollaio e le uova
Ogni mattina aveva il suo volto diverso e l’alba schiudeva i pensieri e la vita; le ombre dei pioppi svanivano nel canto dei galli. Il silenzio abitava il cortile che poi si animava del consueto clamore. Vagava il pensiero, sofferte emozioni –Oh Valentino vestito di nuovo, ecco un cocco, un cocco per te-. Le galline ovaiole le “fedava” (deponevano le uova) di prima mattina nel loro sonoro “coccode”.
Il becchime già pronto sull’aia veniva presto consumato e poi via sui prati a saziarsi d’erba fresca, primaverile. Le festività pasquali portavano in tavola uova colorate per la gara della “scoca”. Nei “corghi” (piccoli serragli rotondi di vimini) capovolti e ripieni di paglia, le galline ubriacate con pane inzuppato di vino chiocciavano fino alla schiusura delle uova dalle quali uscivano stentate e tenere creature giallastre.
Pochi mesi, i nuovi nati manifestavano, dalle sembianze, l’essere maschi o femmine ed i loro colori. Le galline “vare” (variegate) destavano stupore per le tante tonalità del piumaggio da sembrare codici miniati dalla Natura. Gli animali del pollaio vivevano in armonia tra loro mentre il gallo maestro graffiava i “bocia” indiscreti.
Il baratto, la gallina “sfasanà”
Alla squadra del Milan, che mancava dall’attività sportiva del paese di Buso, ci pensò Ciccio della zia Pierina il quale portava al mercato, in grande sporte di giunco, le uova conferitegli in uguale misura dai componenti della costituenda società che ricevevano in cambio maglie rossonere fiammanti. Solo “Moschin” (Lorenzo) acquistò lucenti scarpe bullonate. Dal mercato ai fratelli Albieri (“i fruttaroi”) il passo era breve: creme, spumilie e mignini pagati in natura con uova fresche che se erano d’oca valevano il doppio.
Avveniva che ogni famiglia disponesse di vari tipi di animali da cortile per il brodo e la carne da consumare in parche mense, nelle feste comandate e in quelle della tradizione.
Tornare mentalmente ai profumi della cucina antica è ritrovare intatto il valore d’una famiglia sana ed allegra anche nelle difficoltà della vita.
Sezionato, con la “forbese da vegne “, el cicin (la carne di gallina) allietava il palato di grandi e piccini. La gallina “sfasanà”, bollita prima, veniva messa al forno dalla nonna Virginia con cipolla, rosmarino, aglio e un po’ d’olio: una bontà. Si mangiava quasi in silenzio gustando i cibi nella consapevolezza che questi erano il frutto del bene e del sacrificio dei propri cari.